intervista a DJ Panino
Speciali

DJ Panino: «Con la musica non si finisce mai»

Un pomeriggio “bomba” con Stefano “Pulce” Bardi a parlare di dischi, djing, hardcore, DIY, Richard Cocciante, Jovanotti, Oltretorrente…

di Kos Tedde
immagini di Artemy Doreanov

Parma, Oltretorrente.. In un tiepido pomeriggio di metà ottobre la piazza intitolata a Guido Picelli è affollata. Tutti guardano nella stessa direzione. Aspettano l’uscita dei bambini dalla scuola che si affaccia sulla piazza, a fianco della secentesca Chiesa di S. Maria del Quartiere. Di questo è ancora fatto il quotidiano. Anche nelle città. Anche nell’anno 2021.

Ma io punto a un centinaio di metri più avanti, lungo via Imbriani. Tra un kebab, due bar che si sfidano da un lato all’altra della strada, e la benemerita libreria Chourmo, mi infilo in un grande caseggiato di quelli che, camminando per strada, impariamo a conoscere solo per un lato e che, invece, si estendono e vivono dall’altro.

Oggi incontro finalmente Stefano Bardi alias Pulce aka DJ Panino. Mentre salgo le scale per il secondo piano ricapitolo le ragioni che mi hanno condotto qui: l’avvistamento da qualche anno in centro città  di un folletto abbigliato alla Mike D; la successiva conferma ricavata da una serie di dj set black & funk quasi sempre on the road; una presenza ironica e sbarazzina sui social che fa intuire storie, etiche e stili da approfondire
Così eccomi qua insieme a due Moretti 66 cl d’ordinanza acquistate nel minimarket dabbasso…
Stefano e la sua ragazza Serena mi accolgono come ci conoscessimo da sempre aggiornandomi su un’avventura del weekend appena trascorso: “Eravamo a Genova per un set ai Giardini Luzzati e il filo del cambio ci ha piantato in asso. E adesso che facciamo? Facciamo che, lì in mezzo al traffico del centro, mentre ci chiedevamo come saremmo tornati a Parma si ferma un ragazzo senegalese, dà una mano e ci porta da un amico e connazionale meccanico bravo e onesto. Il weekend si allunga un po’,  ma riusciamo a portare tutto a casa…”.
Bene, grande inizio: lo sapevo… Anche perché Stefano mi dà subito una dritta: “Dopo di me ha suonato un gruppo pazzo: gli Alcalde de la Noche, fanno una dance che si ispira a parole, suoni e immaginario della Spagna appena uscita dal franchismo. Segnatelo”.

Serena e Stefano, padroni di casa

Ci accomodiamo in salotto. Al nostro fianco Technics e impianto. Dischi ovunque.
E chi esce più di qua? E, infatti, arriveremo fino a sera… con la tentazione dei tempi supplementari di un invito a cena declinato perché Federica Sciarelli stava per pronunciare il mio nome dagli schermi dell’intera nazione.

Ma prima decliniamo le generalità abbandonando per un momento Stefano. Entra in scena Pulce, alias DJ Panino. “Pulce? Me lo porto dietro dai 15-16 anni. Classica festa di compleanno a casa di amici, gente sbronza, da una parte qualcuno guarda Arancia Meccanica. A un certo punto arrivano dei tizi con degli ampli  (erano gli Scruffy’s Scroungers poi divenuti Solidonulla). Cominciano a suonare roba tipo Black Flag. Io mi metto a saltare da un divano all’altro, indiavolato. E qualcuno fa: “Guarda: salta come una pulce”. 

Panino, invece, risale a molto tempo dopo. Mi sono casualmente ritrovato in una birreria di Castiglione delle Stiviere a mettere musica usando You Tube. Ero dietro al bancone di fianco alla vetrina dei panini. I livelli alcolici erano importanti. Un tizio a un certo punto mi indica e grida: “DJ Paninoooo!”.
E così sia. Nei due nomi sta infatti il binario su cui viaggeremo: prima (e sempre…) l’hardcore, poi il djing. Si parte da quest’ultimo.

“Lavoro come educatore in un centro diurno per disabili e durante le pause mi capitava di ascoltare musica con telefono o computer, “Belli i pezzi che metti… Perché non apri i nostri concerti?”, mi fa un collega che suonava il basso in un gruppo di Parma, i Cinzano Five.  E io: “Guarda non l’ho mai fatto….”… E poi venivo dal metal e dal punk: mettere i dischi era “vade retro Satana”. Invece ho iniziato ad andare ai loro concerti e poi mi piaceva la loro musica. E così una, due, tre volte… ho cominciato a comprare la strumentazione. Sì, perchè non avevo nulla: all’inizio portavo soli i dischi. Il collega mi vendette uno dei suoi Technics. Poi fu la volta del secondo piatto, del mixer… Fino all’intero impianto. La mia idea è sempre stata quella di fare set da ascolto: come se venissi a casa mia…”.

Cosa posso mettere? Death metal messicano?

Sembra mi stia facendo il ritratto in questo momento: poltrona, boccale di birra, John Coltrane in sottofondo e di fronte un essere che sprigiona passione.
“Nonostante la mia proverbiale bassa autostima, la gente ha iniziato a chiamarmi prima in città, poi fuori Parma. Dall’ascolto sono così passato anche al ballo, da solo o con altri dj. In certe situazioni – ad esempio i capodanni – capita di fare le “marchette”. C’è sempre un limite però: ok la Carrà, vada per la Rettore, ma non metto 883, né GigiDag. Quella per me non è musica”.

Ai set di DJ Panino ho sempre sentito tanto groove: “All’inizio ero in fissa con jazz e funky. Ultimamente mi piace tutta la musica di un certo tipo…. Ad esempio, qui sotto in piazzale Inzani in una specie di festa del quartiere nella prima ora ho fatto solo Mina, Battisti, Maurizio, i Pooh… Ovviamente non i classiconi strappalacrime che ti fan venire due coglioni…. Insomma scoprire cose e dire: “cazzo che bello questo, lo suono”. È divertente anche perché ho la fortuna di avere tanti dischi di generi diversi:..”. 
E così mi mostra una serie di 45 giri su cui il tempo ha lasciato più di un segno: “Pesco da un piccolo tesoro che proviene della mia famiglia (genitori, zii, zie…). Dal momento che loro avevano smesso di ascoltarli e che io svolgo anche il ruolo di accumulatore seriale, soprattutto di musica, mi sono ritrovato con diversa roba originale anni Sessanta. Anche per infilare ogni tanto il pezzo “diverso”. Magari, per dire, “Rhythm” di tale Richard Cocciante, ovvero Cocciante quando era ancora giovincello, colonna sonora di uno sceneggiato… groove della Madonna”.

Richard Cocciante – Rhythm

Passare da un pezzo all’altro – anche lontanissimo per genere ed epoca – oppure realizzare una connessione che oltrepassa la musica, o ancora cavalcare un crescendo, inserire uno stacco (come a dire ci siete?!), proporre qualcosa di inedito in sé o per la situazione in cui lo si lancia. Il Djing può essere un viaggio mentale – oltre che fisico – che si lega a cose, persone, situazioni. Come quando si affronta un lungo viaggio in auto ascoltando a ripetizione un album: anche dopo anni, il paesaggio e il tempo trascorso finiscono per avere una colonna sonora e la musica un corrispettivo visivo.
Per questo il djing (meglio: il “mettere dischi”…) deve popolare il quotidiano e le dimensioni più diverse. Nelle settimane in cui ci siamo sentiti per pianificare e costruire questo articolo Stefano ha suonato nelle situazioni più diverse: il pub Vecchie Maniere in cui l’ho agganciato, lo spazio espositivo BDC, nuove avventure come Gagarin Bar e Donka Street Bar, lo showroom di un importante marchio di arredamento brianzolo (il titolare è un vecchio compagno di scorribande HC…), e poi Con-Tatto, interessante progetto di e con persone con disabilità che mette insieme creatività, divertimento, musica. Un approccio ad ampio spettro che trova la sua “risoluzione strategica” nell’ideazione della Società Discocratica, evangelizza a cadenza periodica dall’omonimo dal profilo Mixcloud e va in onda sulle frequenze di GoodMorning Genova!.

“Eh già. Non si finisce mai con la musica. Negli ultimi anni, ad esempio, ho scoperto il pianeta exotica. In Rete ti tirano dietro ‘sta roba. La uso per fare una sorta di introduzione ai miei set estivi. Pezzi come “Aloha Amigo”, “Blown Away”, “The Hawaians”,  “Quiet Village”, gente come Martin Danny, il capostipite. Agli ascolti associo le letture. Una ricerca continua. Anche, che so, nella trap. Poi è roba che va scremata perchè molta fa cagare”.

La ricerca… sì perché al momento dell’ascolto, al furore del set si aggiunge il brivido della “caccia”. Triplice comandamento: cerca, ascolta, suona (dal vivo).
“Giro principalmente mercatini. E qualche negozio: ad esempio, qua in zona, il Planet di Reggio Emilia. E poi ci sono situazioni particolari: la mia ragazza viene dal Salento. Là ci sono tutti questi mercatini dell’usato che raccolgono i dischi dei DJ degli anni Ottanta che suonavano in discoteche che non esistono più. Anche lì bisogna scegliere tra la monnezza”.
Un’attività a “tempo pieno” che conosce i suoi tributi: costi e spazio: “Cerco di controllarmi. Si tende a peggiorare con l’età, però poi uno ha il mutuo, le spese della macchina… quando cerco di stare buono spendo 200-250 €, se mi lascio andare arrivo a 500-600 €. La maggior parte dei soldi dei set, li investo in vinili. Come vedi ci sono dischi (e cassette…) dappertutto”. 

Cataloga et Impera

Al nostro fianco c’è una specie di libreria. Un piano, un genere: black, pop rock classico… Il livello più in alto è consacrato a metal, thrash, punk, hardcore: “Li ascolto ancora. Non tanto per i dj set – a parte qualche puntata negli skate park. Certo, se fossi in una serata a Berlino ad aprire per un gruppo metal, con un centinaio di questi farei serata”.

E qui entriamo nel personale e in una storia più lontana. Che è una delle ragioni che mi ha portato qui. Capire il punto di vista di chi ha vissuto il proprio romanzo di formazione nell’hardcore. Fino a qualche anno fa mi sembrava un mondo, sostanzialmente, autoreferenziale. Alcuni incontri successivi mi hanno invece dimostrato che non era così allora e, soprattutto, oggi: chi ha vissuto esperienze di quel tipo sembra più attrezzato, per il “pericolo che incombe continuamente, quello di cedere per stanchezza ad una grigia realtà che sembra concepita nella galleria del vento”, ammoniva R.W. Fassbinder.

“Sono cresciuto nell’hinterland di Milano. Già a 16 anni ho cominciato a suonare in giro con vari gruppi, prima in Italia (Roma, Bologna, Firenze) poi anche all’estero.
A Milano allora stavo bene, ho vissuto anche in una casa occupata. Ma mi sono fatto amici ovunque, dalla Finlandia alla Sicilia, dalla Polonia all’Ungheria. Serena mi dice che in ogni posto dove andiamo troviamo qualcuno che mi ferma e dice: “Tu sei Pulce”. Non è per fare lo sborone, ma per dire che non riesco a star troppo fermo in un posto, ho cambiato 6-7 case. Anche se, a dire il vero, ormai sto nel parmense da una decina d’anni.
Sono arrivato con la ragazza d’allora. Volevamo andare via da Milano, era un periodo di risacca, di stanca, non ci piaceva l’aria che c’era. E confesso che ho sempre avuto il mito dell’Emilia Romagna”.
Un “mito” non sempre condiviso da chi qui c’è nato, ma d’altronde, parafrasando Philip K. Dick: se vi pare che questo mondo sia brutto non avete visto gli altri.



In questa casa il cd non è un’invenzione senza futuro

“A casa mia girava tanta musica… Poi alle superiori un doppio shock: prima il metal, poi l’hardcore punk. Proprio per questo non avrei immaginato di arrivare a mettere i dischi… Forse quelli più giovani non si rendono conto che la questione musicale era anche appartenenza: c’era il gruppo di riferimento, dall’abbigliamento alle droghe. All’epoca consideravamo chi frequentava le discoteche un edonista tendenzialmente di destra. Poi, crescendo, ho smesso di frequentare un solo circuito, e la mente, come si dice, si è ampliata. E così, ad esempio, ho scoperto, conoscendo di persona alcuni protagonisti della scena “discotecara”, che molta gente non era come pensavo”. 

Anche se forse il destino era già stato segnato all’inizio: hardcore e black music… E qui arriva un’autentica rivelazione il nome nientemeno di un odiato (da molti…) simbolo prima degli anni Ottanta nostrani e poi di certa paraculaggine. Ma noi siamo qua per sorprenderci e Pulce non si nasconde…
“La congiunzione tra punk e funk sono i Beastie Boys che ascolto da quando avevo 11-12 anni grazie a Jovanotti. Molti non gli riconoscono il merito di aver portato in italia un certo tipo musica. Con “DJ Television” e “Radio DJ” spingeva la house perché nasce come dj, ma ha fatto conoscere da noi gente come Run DMC, Beastie Boys, Public Enemy. Non è stato l’unico a farlo, d’accordo, ma senz’altro quello con più visibilità. E così ha cambiato la vita di qualcuno. Ad esempio, la mia”.

Seconda pelle: Paul’s Boutique dei Beastie Boys

L’hardcore, una questione di etica. Un aspetto che molti, come il sottoscritto, magari troppo concentrati su aspetti esteriori, di gusto, o prettamente musicali, tendono a trascurare o fraintendere.
Non è solo musica, ma qualcosa che si porta dietro un peso sociale e politico. Vengo da una famiglia con forte una connotazione di sinistra. Ma io volevo fare politica in modo diverso e volevo fare punk hardcore. Il metal era bordello, assoli… Hardcore era rumore, ma anche i contenuti dei testi, il Do It Yourself. Insomma mi ha sconvolto, è diventata un’esperienza di vita. E questa cosa la porto anche nei miei dj set. Non pretendo di avere tutto pronto. MI informo sulla situazione, sull’impianto, se abbiamo un problema lo risolviamo insieme. E poi scarico, carico; “fare e disfare” fa parte della cosa.
I primi anni registravo i mix in cassetta con Audacity, stampavo le copertine, le portavo in giro, le regalavo.
E non suono in tutte le situazioni. Se vedo che non è il mio ambiente lascio perdere… Ci sono dei limiti, anche se mi paghi bene, e te lo spiego pure perchè non vengo”.
Ora le orecchie sono spesso sintonizzate su altro, ma Pulce percorre ogni mercoledì centottanta km andata/ritorno per fare le prove con gli Odd, una nuova band che nel settembre 2020 ha registrato un’omonima cassetta: Hardcore tamarrissimo, io suono la batteria: la bassista è di Trento, il cantante viene dalla Calabria, il chitarrista dall’Abruzzo, ma vivono tutti a Bologna. Amicizie fatte una quindicina d’anni fa ai concerti all‘Atlantide e all’XM 24”.

Cos’ho combinato? Death Before Work!

Dagli anni Novanta Stefano è stato un protagonista della scena milanese come batterista e cantante. Solo l’elenco della band in cui ha militato vale l’intervista: Bella Lì, La maschera, Idioti, Corrosione, SSWIIISSH!, FDM (Forse Domani Muori), Death Before Work!, You Suck!, Nervi, Thrash Brigade
Una presenza certificata in “Disconnection. L’hardcore italiano negli anni Novanta”, la recente panoramica scritta a quattro mani da Giangiacomo De Stefanoe Andrea “Ics” Ferraris (Tsunami Edizioni).
E un’attitudine che abbraccia in maniera consapevole molteplici aspetti del quotidiano. Ad esempio, l’abbigliamento: “Ormai tutti vanno a ballare vestiti da ragionieri. Io quando esco devo spaccare. Forse a 45 anni non dovrei più essere così. Ma devo fare la differenza, per me è fondamentale”.

Un altro altro esempio? Modellare parte delle vacanze sulla possibilità di suonare, possibilmente vista mare: “I tour nella riviera romagnola sono nati perché nel 2020, finito il primo periodo di lockdown, mi sono detto: vediamo se riesco a fare qualcosa quest’estate…  Volevo andare, volevo girare. Amo i set estivi. Basta che l’impianto funzioni e io 5-6 ore le faccio con piacere. Magari verso la terza, devo mettere il pezzo lungo per andare in bagno…. Così ho scritto a un paio di contatti che ho in quella zona – Riccione e Ravenna – e sono riuscito tirar fuori questa settimana di serate che ho ripetuto anche quest’anno.
La filosofia? Conoscere gente nuova attraverso gente vecchia. E scoprire belle situazioni: al Ciotolina, al Que Vida di Porto Corsini dove ho suonato in una casetta di legno costruita sulla spiaggia, al Brillo in cui ho incontrato un dj leggendario degli anni Settanta e Ottanta, Beppe Loda, che mi fa: “Questo lo mettevo al Typhon”.. Pensa: uno dei fondatori della house music italiana… Mi piace molto suonare all’aperto dove non per forza si deve entrare nel locale per ascoltare. Magari ci si ferma per dare un’occhiata, fare due chiacchiere e va a finire che si rimane tutta la notte… è una bomba, proprio bello”.

Il primo tatuaggio… FDM: Forse Domani Muori

Come belli sono stati anche altri momenti in cui si mescolano caos e divertimento: “Che escamotage uso per difendermi durante i set? Una volta sola ho detto “Non mi rompere i coglioni!”. C’era questa tipa che continuava a chiedermi “è il mio compleanno… è il mio  compleanno… Mi metti tanti auguri? Mi metti tanti auguri?”, “No, non ce l’ho”, “Non ce l’ho”, “Non ce l’ho” e alla fine sono sbottato.
Poi ci sono anche quelli che stanno di fianco alla consolle e ti fissano. Mi è capitato l’altra sera a Genova: alla fine il tipo mi ha detto “grazie” ed è scappato.
Capitolo a parte: i Capodanni. A poche centinaia di metri da qui, alla Giovane Italia – l’unico locale che in centro rimaneva aperto fino alle 8 del mattino e quindi raccattava tutto il meglio della notte, come puoi immaginare – con una mano reggevo le cuffie, con l’altra agitavo il manico di una scopa per tener lontani i più molesti che mi appoggiavano i bicchieri sui piatti e gridavano: “Metti la technoooo!!!”. Naturalmente non c’era security…”.

Ma ci sono anche altri inconvenienti: “Ad esempio, quelle che ti fanno: “Ciao, mi metto il tuo biglietto da visita nelle tette…” E io: “guarda che ho la ragazza di là…”. Polverizzate in un attimo”.
E situazioni anomale, gratificanti: “Per l’inaugurazione della mostra Abecedario d’artista in una delle sedi espositive principali della città ho incominciato a mettere qualche pezzo più tirato, non previsto… Il curatore Alessandro Canu mi ha detto che sono l’unico che ha fatto ballare il Palazzo del Governatore”.

Non solo divertimento: la vita del dj, come quella del samurai di Jim Jarmush, è fatta anche di regole e applicazione: “ Se vuoi fare le cose bene devi controllarti anche se intorno c’è festa. Quando suono la batteria dal vivo non bevo mai: devo essere 100% lucido, anche se mi farebbe comodo un po’ d’ebbrezza… Dopo una sosta di qualche anno, infatti, non ho più la sicurezza che avevo prima.
Ai piatti, invece, mi sento molto più tranquillo perché lo faccio in maniera continuativa. Mi alleno, ma senza esagerare. Il vero allenamento è l’ascolto. E a volte capita di mettere nei set dischi appena comprati. Non è indispensabile provare tutto prima”.

Una dimensione live che stava diventando qualcosa di più concreto: “Prima del covid, avevo quasi l’idea di mettermi a part-time e puntare forte sul djing. Poi mi sono reso conto che sarebbe stato un suicidio economico.
Però un’altra ragione è che non volevo sputtanarmi con situazioni che non mi appartengono. In fondo la gente mi chiama perché si vede che faccio la roba con passione. Quando inizio a parlare di certe cose non smetto più. La mia ragazza mi chiama WikiPulce. Il mio sogno sarebbe avere un negozio di dischi dove puoi ascoltare, bere una birra, leggere un libro e chiacchierare…”. 
Sarebbe una grande cosa. Ma perché non realizzarla proprio qui in Oltretorrente? “Ci stiamo pensando. Certe idee su alcuni spazi le abbiamo avute. Speriamo… Qui sto bene. Ho vissuto anche in borgo Tommasini dall’altra parte del centro e so che c’è differenza, una grande differenza. Là sembra di essere in via Montenapoleone. L’Oltretorrente è ancora molto bello. Nonostante questo mi muovo molto: quando sono qua mi dico, ma non c’è da far qualcosa? Stare sempre fermo al bar o all’aperitivo mi uccide. Ci vogliono sempre attrito e conflitto”.

Disco & Samba

Poi si ragiona su locali chiusi con il covid, differenze tra Parma e Reggio per la musica dal vivo, destra dilagante, gente incazzata che non vede l’ora di chiudersi in casa, retoriche del decoro e dell’inclusione, la regione Veneto su cui il Nostro avrebbe un progetto rivoluzionario di cui però non si può ancora parlare… E di nuovi acquisti e consigli per l’ascolto: “Cristalli Liquidi” di Marco Bottin, Nicola Conte, colonne sonore, tarantismo, Scritti Politti, Cerrone, Kasso (Claudio Simonetti), Teardrop Explodes, Human League, le compilation Mixage, i Total Control, gruppo garage punk australiana, il groove Seventies del mondo arabo con gruppi da Marocco, Libia, Libano, il funky dei Breakwater che ha ispirato i Daft Punk di Robot Rock, i Commenti Musicali Drammatici della RAI… Come funziona? Pulce ne tira fuori uno, lo mette sul piatto, mi dà la custodia e inizia a illustrarmi come suona e come è finito a casa sua. Come diceva quella canzone: “C’è tanto da imparareee…”.

Exit planet panino

Ma ora è tempo di andare prima che scatti l’appello su Chi l’ha visto… Proprio in zona Cesarini mi sale dal cuore un’ispirazione. Una grande idea. La prossima primavera a Parma ci sono le elezioni amministrative… Stefano candidati, da solo o in ticket, tanto lo spin doctor ce l’hai già… Sindaco della Notte (carica da Nord Europa che il Comune di Bologna, tra l’altro, sta pensando di istituire…), Sovrintendente Thrash, Commissario Funk & Soul… Vota Panino! Vota Panino!!!