Rezza Mastrella (foto Giulio Mazzi)
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“Hybris”: il nuovo Rezza/Mastrella

Siamo stati all’Arena del Sole di Bologna per la prima emiliana dell’ultimo spettacolo del formidabile duo

di Alberto Zanetti

Tallonati da un tramonto formidabile in un sabato di metà novembre, fosco per il resto, ci si muove in auto con largo anticipo per Bologna e il nuovo Rezza/Mastrella. L’aspettativa è come quella, di un tempo, per un evento sportivo o un concerto rock: qualcosa che non ripassa.

Arena del Sole gremita in ogni ordine di posti: un paio di attori già sulla scena illuminata segnalano la prima novità. Oltre al deus ex machina, “Hybris” presenta ben sette interpreti: Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli, Maria Grazia Sughi (partecipazione straordinaria) cui, per la data felsinea, si aggiungono altre due presenze femminili reclutate on site.

“Hybris” di Rezza Mastrella (foto di Annalisa Gonnella)

Poi: buio, si comincia. Scopriamo così che celato dietro un elemento orizzontale al centro del palcoscenico c’è, disteso, proprio Antonio Rezza le cui parole sorgono dal magmatico mantra vocale che incomincia a diffondersi nella sala. Insieme all’attore anche il sopracitato elemento si erige, diviene verticale. Sarà cifra e co-protagonista dell’intero spettacolo: una porta. “Io ho avuto questa porta in mano per 4-5 anni” ha dichiarato Antonio a Luca Pulsoni del Manifesto in occasione della prima al festival di Spoleto della scorsa estate. Prima il Leone d’Oro a Venezia poi lo sfratto dallo storica sede di Nettuno, infine la pandemia, hanno ritardato l’uscita di “Hybris”.

Un concatenamento – l’uomo-la porta, a un certo punto compare anche un trasportino – che da subito si impossessa della scena, dirige gli altri attori, calamita il pubblico. La porta è mobile: nessuna posizione prefissata. La porta divide: un dentro e un fuori. La porta risuona: spesso bussata, talvolta sbatte come uno sparo. Dove inizia Antonio? Dove finisce la porta? Nel flyer distribuito all’ingresso di parla di “corpo senza organi”: eccolo qua.

“Hybris” di Rezza Mastrella

Le situazioni si susseguono, i vari personaggi si costruiscono sotto i nostri occhi senza mai giungere all’intero: non ce n’è il tempo, nessuna riflessione contemplazione consolazione. Solo reazione ovvero, come ben sa chi conosce i lavori di Rezza/Mastrella, il riso: scatenato, inebriante, preoccupato, veloce come una rasoiata non lascia il tempo di volgersi indietro (e di soppesare per il recensore…).

La porta, come si diceva, traccia il confine, separa. Concepito prima della pandemia, “Hybris” annunciava già il confinamento e i suoi prodromi: casa, coppia, madre, famiglia, legàmi. La tentazione di lasciare il mondo (sociale) fuori, di segregarsi: presunzione suprema, hybris, perché quella della porta è anche una fatica mitica.

Se di una storia, rischiando il nonsenso, dobbiamo parlare è proprio questa: Antonio sfida con le proprie armi (il movimento, il corpo, il sovvertimento – ora sottile ora forsennato – del linguaggio comune, l’autodisciplina) l’alienazione suprema e quotidiana.
Convenzionalmente possiamo dividere lo spettacolo in quattro movimenti: il primo, una presentazione aleatoria; il secondo, la geniale riunione familiare con i due gruppi orchestrati dal caos linguistico-motorio; il terzo, fatto ancora di occasioni fortuite che preparano la catastrofe; l’ultimo, resa dei conti a colpi di pistola (ancora… la porta) e di fischietto (quante imprecazioni verso il cielo…).

“Hybris” di Rezza Mastrella

Indimenticabili alcuni intermezzi: la porta diviene metal detector e risuona a ogni passaggio di Antonio che dovrà quindi, su richiesta dell’autorità, spogliarsi di un indumento…; un vetro immaginario attraversa in trasversale tutta la scena (a parte lo spiraglio della porta): per farsi sentire bisogna urlare e la sala a forza di applausi comprende, rumoreggia, interagisce; le elezioni del Senato ovvero S’èNato che danno origine – gli attori tutti in fila – a una montagna russa verbale e sonora che prende l’avvio con le sigle dei partiti della Prima Repubblica (sulle prime abbiamo pensato Rino Gaetano di Nun te reggae più; poi però il numero decolla e supera l’arco costituzionale…).

Rezza/Mastrella da sempre aborrono le modalità del cosiddetto “teatro civile”. Non possiamo però tacere qualche accenno esplicito all’interno di “Hybris”: dall’egemonia USA parodiata in un esilarante discorso sull’inconscio assimilato a un lavoratore sottopagato (e straniero), al nuovo corso italiano uscito dalle elezioni, alla memoria stratificata di una qualche lotta continua (altro pezzo di bravura…). Questo per dire dei mille piani che compongono il lavoro del duo: nelle entusiaste acclamazioni di fine spettacolo rischiamo di dimenticarlo.

“Simo noi”. Intervista ad Antonio Rezza e Flavia Mastrella

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Immagine in evidenza: Antonio Rezza e Flavia Mastrella (foto di Giulio Mazzi)