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Intervista ai Lourdes Rebels

Per Luigi Bonora e Rodolfo Villani, veterani della scena underground emiliana, è arrivato il riconoscimento internazionale. Il secondo album del progetto Lourdes Rebels è infatti uscito per l’etichetta di culto statunitense Agoo Records.

di Alberto Zanetti

Mi hanno insegnato che la deontologia è una cosa bella e giusta: darà al mondo un’armonia prestabilita. Io non lo credo, ma godo nell’attenermi alle regole come una volta godevo a riempire i rettangoli bianchi dell’album delle figurine.
Dichiaro subito, quindi, che conosco Luigi Bonora e Rodolfo Villani (ovvero i Lourdes Rebels) da diversi anni: sono due cari amici. Nel corso del tempo, come avrebbe detto Wenders, li ho visti suonare decine di volte, accoppiati o con altri, come Brother James, Bonora, Milkane, Litchi, Lady Vallens (per ricordare solo alcune incarnazioni…).
E poi mi attengo ai fatti.
Un paio di mesi fa, dai frammenti di una conversazione intercettata casualmente, venni a sapere che avrebbero pubblicato per un’etichetta di culto del New Jersey, la Agoo Records. Non la conoscevo anche se scoprii in un secondo momento che aveva in catalogo un paio di titoli dei Father Murphy. Che conoscevo.
Il disco, che è la loro seconda prova e si intitola Snuff Safari, ha avuto un’ottima accoglienza e così ho deciso che sarebbe stato bello saperne di più. E poi la cosa era – come dire – a portata di mano.

Chi volesse effettuare un test di coerenza interna della seguente intervista potrà farlo con i diretti interessati sabato 2 maggio al Circolo Zerbini a Parma (giocano in casa): i Lourdes Rebels suoneranno insieme a Sonic Jesus e My Invisible Friend, io sarò tra il pubblico a fianco della deontologia. Se ci tenete, ve la farò conoscere.

Come ci si fa pubblicare un disco negli USA?

Villani e Bonora: Dietro ad un funzionamento vi è sempre un mistero interplanetario. Speriamo solo non ci sia della logica in tutto questo.

 

Il vostro nome si ispira a un romanzo di Joris Karl Huysmans. Che è anche il protagonista indiretto dell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq. C’è un complotto internazionale nel nome dell’autore di A rebours? E voi ne fate parte?

Villani: Ci piacerebbe molto. In realtà il nome contiene anche molta ironia… però mi piace pensare che evocare un luogo come quello abbia una certa forza eversiva e straniante nella nostra società.

Bonora: Io credo che se dovesse esserci un complotto come pensi, quello lo si debba ricercare partendo dal fondo del taschino di velluto di Robert de Montesquiou. Se si dovesse trovare la prova schiacciante, in quel complotto saremmo coinvolti tutti.

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Il mio brano preferito è Jungle Ghost. Ci trovo “piedi segnati da sandalini di plastica, tramonti dopo trasferte allo zoo safari del Garda e polaroid in autogrill”… Che ne pensate?

Villani: Per noi giocare con le scorie del passato può essere un buon modo per immaginare strade inedite anche se questo passaggio non è affatto automatico: il rischio di rimestare sempre la solita zuppa c’è. L’importante è mescolare ingredienti apparentemente lontani e stare a guardare che succede. Poi serve uno sforzo di sintesi per non perdere la bussola.

Bonora: A patto che i sandali siano quelli trasparenti coi quali si andava a caccia di granchi negli anni ’80, il tramonto sia con palme e donne nude stampato su carta da parati anni ’70 e tu intraprenda il tuo privato road dream su di una Jaguar E-Tipe amaranto.

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Il disco sta avendo riscontro. A parte il probabile invito a “Che tempo che fa”, lo ritenete un riconoscimento, un’opportunità o siete un po’ contrariati perché sono anni che vi sbattete e ora vi considerano “a scatola chiusa” grazie al marchio di una label d’oltreoceano?

Villani: Non ho nessun risentimento. Certo, se avessimo avuto la fortuna di venire in contatto dieci anni fa con Alec Dartley (Aagoo Records) forse sarebbe stato meglio, ma in questo sono fatalista: si vede che doveva andare così. Il problema del riscontro a scatola chiusa solo grazie al marchio di una label però esiste: troppe poche etichette rischiano su nomi sconosciuti puntando invece sul sicuro, sui soliti noti. In questo modo il mondo delle piccole etichette diventa sempre più autoreferenziale.

Bonora: Si è contrariati solamente dal concetto malato di meritocrazia di questa società, del fatto che ci voglia per forza quel solito sudore malsano e interminabile per arrivare ad una giustizia che in realtà vi è sempre stata, quasi non esistesse una consapevolezza riguardante l’unicità della vita e con questo si continuasse imperterriti in una fatuità cinica a tutti i costi come se si trattasse di una giustizia eterna, intestardendosi a voler scacciare sempre e comunque quel povero anticristo a furia di tozzi di pane raffermo. Il disco è un bel disco!… come altri dischi che lo precedono, solo che a questo disco hanno accettato di volergli bene.

Come immaginate l’ascoltatore della vostra musica? La risposta: altri che suonano, è bandita…

Villani: No, certo. Pensare che gli ascoltatori siano tutti musicisti o persone che si occupano di musica mi deprime un po’. Preferisco immaginare un meccanico come ascoltatore ideale: potrebbe godere delle nostre suggestioni esotiche ed immaginarsi nella savana mentre pulisce il carburatore di una Multipla!

Bonora: Tutte le NONNE del mondo! Ma soprattutto quelle col mito di Chianciano…

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Dal vivo come pensate di cavarvela?

Villani: Alzando il volume del mixer.

Bonora: Male, ovviamente. Noi siamo dei compositori più che bestie da palcoscenico. Poi, ricreare dal vivo quella certa pasta sonora da ritrovamento archeologico che si respira nel disco diventa praticamente impossibile. Si può confidare in una certa sottile ironia da parte dello spettatore che si trova di fronte due nerd che arrancano… In fondo è questo il vero spirito dei ribelli.

(22 marzo 2015)

 


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