Interviste, Speciali

Clap! Clap! Intervista a Cristiano Crisci

In vista della sua partecipazione al Barezzi Festival – sabato 5 novembre a Parma, insieme a Gold Panda – abbiamo raggiunto il produttore toscano, titolare del progetto Clap! Clap!, per parlare del nuovo album in uscita a febbraio, della collaborazione con Paul Simon e di molte altre cose.

di Alberto Zanetti

Sperimentazione etnomusicale che si balla. Questo fa il produttore toscano Cristiano Crisci, titolare del progetto Clap! Clap!: campiona suoni tribali e percussivi provenienti da parti del pianeta molto distanti tra loro come Africa, Mongolia, Siberia e li immerge in un contesto sonoro elettronico. Il risultato è una musica raffinata, immediata e divertente. E di questo si sono accorti in tutto il mondo.
In vista della sua partecipazione al Barezzi Festival – sabato 5 novembre al centro congressi dell’Auditorium Paganini di Parma, insieme a Gold Panda ed Eu Bòlos – abbiamo raggiunto Cristiano Crisci per parlare del nuovo album in uscita a febbraio (sotto trovate un estratto di un nuovo brano), della collaborazione con Paul Simon, della ricchezza del nostro patrimonio di suoni, dell’importanza di viaggiare e del pubblico più sorprendente del mondo. Insomma, di un sacco di cose.

Paul Simon, che ti ha voluto come collaboratore nel suo Stranger to stranger, è rimasto “folgorato” dai tuoi dischi: come ci sente ad essere uno dei “pezzi” italiani da esportazione più pregiati?
Non penso di essere pregiato :) Penso al contrario di avere fin troppi difetti, ma probabilmente sono proprio loro che mi salvano la vita ogni giorno! Lavorare con Paul Simon è stata comunque un’esperienza indimenticabile a livello umano soprattutto. È stato molto bello incontrarsi e sopratutto confrontarsi. Le nostre collaborazioni hanno dato infatti vita a quello che possiamo chiamare “un ponte tra la vecchia e la nuova scuola” su quello che è il fiume della sperimentazione etnomusicale.

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Quando si parla dei tuoi album la parola che ricorre di più è tribalismo. Ma per te cos’è “tribale”? Un sinonimo di “etnico”, un genere musicale, un’attitudine estetica, un approccio cosmico?
Penso sia la parola giusta. La maggior parte delle ricerche sonore del progetto è stata concentrata sui ritmi di culture che, per la maggior parte, hanno un sistema sociale costituito da tribù. Dalla Siberia, all’Alaska fino agli aborigeni australiani, passando per la madre Africa, qualsiasi popolo in passato ha spesso espresso il proprio legame con la terra con cerimonie e riti legate al ritmo. Per me è un linguaggio che appartiene al nostro pianeta ed è la maniera con cui preferisco esprimermi al mondo intero.

Non ti piace solo visitare altri paesi – Africa, Mongolia, Siberia… – ma anche un’Italia da (ri)scoprire (abbiamo letto che hai registrato una session nei boschi dell’Appennino intorno a Firenze). Cosa significa “viaggiare” per te e la tua musica?
Sì, infatti, mi piace molto viaggiare, soprattutto fuori dall’Europa. Negli Appennini intorno a Firenze purtroppo non c’è molto da registrare. Ho approfondito molto la mia ricerca nel sud. Come già fece Alan Lomax e soprattutto come fece De Martino e come per fortuna ancora oggi qualcuno fa, cerco di salvaguardare un patrimonio che, se nessuno conserva, rischia di andare perduto, come già è successo per tante fiabe, filastrocche e canzoni popolari dei nostri antenati… oggi dimenticate. In Italia abbiamo molti strumenti nativi di cui non si parla mai. Dalle pietre musicali di Pinuccio Sciola alle Launeddas sarde, fino all’organetto abruzzese, abbiamo miriadi di strumenti nativi del posto. Stessa cosa per i lamenti o per gli stornelli. La cultura musicale di questo paese è veramente senza fine. Viaggiare significa tanto per me. La maggior parte dell’ispirazione proviene dai viaggi che faccio.

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Il progetto Clap! Clap! sembra rappresentare una precisa e raffinata idea di cosa possa essere la musica oggi ma anche immediatezza e divertimento. Ti ci ritrovi?
Grazie, sì, molto. Ho lavorato a lungo per trovare una coerenza musicale ed uno stile unico, ed è la cosa che ancora oggi continuo a consigliare a qualsiasi persona nella vita. Penso sia essenziale, soprattutto al giorno d’oggi riuscire a sperimentare nella migliore delle maniere. La musica è un linguaggio. Con la musica si comunica ed è giusto che ognuno dica quello che ha da dire nella maniera che più lo rispecchi.

Puoi anticiparci qualcosa del nuovo album “A Thousand Skies” che uscirà il prossimo febbraio?
Nella famiglia Black Acre si sta davvero bene. Warp cura il publishing e lo fa senza dubbio in maniera magistrale, ho iniziato a lavorare davvero meglio grazie a loro, è proprio cambiata la maniera che avevo di approcciarmi alla musica. Quando c’è molta passione e molto entusiasmo si lavora meglio. Il nuovo album è molto diverso in confronto al precedente. In “Tayi Bebba” l’immaginario che esce di più è quello dell’Africa, nonostante ce ne sia poca dentro. Per quel lavoro studiai e campionai molte ritmiche e strumenti dei posti freddi, tipo la Siberia trovando un’incredibile similitudine con le ritmiche dei paesi più caldi. Provai quindi ad esprimere un linguaggio legato all’Africa ma usando suoni proveniente da altri paesi. Il nuovo album invece è caratterizzato da una ricerca differente. “A Thousand Skies” è un album molto meno pretenzioso e più umile. Prima che nascesse mia figlia feci diversi sogni assurdi, in uno lei stava correndo e giocando con gli astri materializzati nella raffigurazione greco romana, c’era Andromeda, Orione, c’erano le Pleiadi. Ho voluto dedicarle questo album, rappresentandola come la sognai. “A Thousand Skies” è la colonna sonora di un breve viaggio tra le costellazioni conosciute fatto da una persona innocente e pura. Partire dal pianeta terra lasciandolo nelle condizioni in cui ci viviamo oggi e tornarci in un futuro dove molte cose sono cambiate. Anche il livello di ricerca è cambiato molto; per questo ultimo lavoro mi sono concentrato più su samples provenienti dal nostro paese ed ho voluto esprimere un altro immaginario, diverso appunto dall’Africa di “Tayi Bebba”. È già possibile ascoltare in anteprima un estratto – “Ar-Raqis” (dall’arabo “il danzatore”) – brano orientato sulla stella Arrakis, della costellazione del Dragone. È il momento di “A Thousand Skies” in cui la protagonista incombe in un’avventura con un dragone danzante.

Questo estratto è anche disponibile sul 12” che abbiamo voluto rilasciare come “album sampler” contenente altri tre brani del prossimo album che uscirà il 17 febbraio 2017.

Stai girando il mondo con i tuoi live? Quali sono stati i più indimenticabili? Quali sono i più pubblici più “diversi” e sorprendenti rispetto agli standard nazionali?
Il più indimenticabile al momento rimane il Mukanda Festival a Vico del Gargano. È un festival che ha ridato vita ad un paese intero. Ha portato una nuova cultura dove prima non c’era. Anche se solo per qualche giorno, ha migliorato la qualità della vita di tante persone. Il pubblico che mi ha colpito maggiormente invece l’ho trovato in Giappone. Sia a Tokyo che ad Osaka che a Nagoya e immagino che sia così anche nelle altre città. Incredibile! Un calore unico.

(5 novembre 2016)

 


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