"La Tempesta" di Alessandro Serra, foto di Alessandro Serra
Speciali

Teatro nella Tempesta

Ancora Shakespeare per Alessandro Serra nello spettacolo andato in scena al Teatro Valli di Reggio Emilia per Festival Aperto

di Alberto Zanetti

Nei giorni in cui porti, isole e sbarchi affollano le cronache nostrane, a Reggio Emilia va in scena uno dei naufragi più celebri, quello pensato da William Shakespeare nella sua penultima opera.

Atmosfera di evento al Teatro Valli martedì 8 novembre, ennesima tappa del Festival Aperto, per il nuovo lavoro di Alessandro Serra consacratosi con un altro classico del Bardo, il “Macbettu” per lingua sarda del 2017: tanti giovanissimi e, si capirà in sala, anche per scelta

Inizio folgorante. Sdraiata al centro della nuda scena in preda alle convulsioni di un incubo, lo spirito Ariel (ottima Chiara Michelini, come tutto il cast) evoca il disastro per ordine del re-mago Prospero, signore dell’isola su cui è stato scaraventato dalla Provvidenza che lo salva dal destino di morte riservatogli dai suoi nemici usurpatori del ducato di Milano. Sale e incombe un enorme telo nero sconvolto da impeto sovrumano. Le pieghe e i rilievi si gonfiano, cielo e terra si confondono, la potenza più tenebrosa trionfa. Il fragore copre le grida di equipaggio e passeggeri della nave in rovina. Così si presenta la macchina del teatro, di cui “La tempesta” è, per antonomasia, apoteosi e svelamento.

Da sinistra Jared McNeill, Vincenzo Del Prete, Massimiliano Poli (foto di Alessandro Serra)

Lo spettacolo rispetta, pur con qualche sfrondatura, modi, contenuti e scansione del testo classico. Le scene sfumano l’una nell’altra, emergono dall’oscurità e vi fanno ritorno. Sottrazione spoglia ed essenziale: domina la cupezza del nero tagliata da una luce spesso proveniente dall’alto che squarcia e disegna figure. Fumi di miraggio, visioni, l’inconscio rimane un teatro: del resto proprio in questo dramma – alato, avventuroso, comico e, allo stesso, tempo fosco – si pronuncia la sentenza abusata e memorabile: “We such stuff as dreams are made on; and our little life is rounded with a sleep”. (Piccola digressione per segnalare il testo di una delle canzoni più belle del 2022 – “Il silenzio” di Alessandro Fiori – che integra Shakespeare e Calderon de la Barca: “La vita è solo un sogno dimenticato da un altro sogno che si è svegliato di soprassalto perché ha sognato troppo silenzio e si è spaventato”).

Bruno Stori (foto di Alessandro Serra)

Altra impennata: il monologo di Calibano – l’efficacissimo Jared McNeill, già collaboratore di Peter Brook, uno degli storici interpreti della Tempesta – che, vestito di una catasta di rami forse memore dei costumi barbarici di Danilo Donati per Pasolini, un po’ criniera un po’ corona – vomita il suo furore di autoctono, colonizzato, reietto; batte i piedi, scuote di un tremito serrato – basso profondo – la sala. Il pubblico, travolto, si scarica nell’applauso.

Con Calibano, il figlio della strega Sicorace, schiavo di Prospero, ancora un momento da ricordare: la sequenza a tre – ammiccante, maliziosa, funambolica – insieme al buffone Trinculo (Massimiliano Poli) e al cantiniere Stefano (Vincenzo del Prete); se Shakespeare sembra aver attinto alla Commedia dell’Arte, Serra si affida al dialetto napoletano dei due interpreti. Risate e attenuazione della tensione che, invece, torna a salire e ad ammaliare nelle parate di dee e ninfee ancora evocate da Ariel per sviare, illudere, punire gli umani dispersi sull’isola (il re Alfonso, il duca Antonio, fratello traditore di Prospero, il pretendente Sebastiano, gli innamorati Miranda e Ferdinando): gli attori indossano maschere con elementi vegetali, battono stoviglie oppure si lanciano in una danza forsennata con musica barocca e luci stroboscopiche.

Jared McNeill (foto di Alessandro Serra)

Dove ci si discosta dalla lettera del testo? Forse in conclusione.
Prospero, dopo aver perdonato chi lo aveva offeso, invoca nel monologo celeberrimo clemenza dagli spettatori per la sua stessa arte che poco prima si era mostrata: da dietro la scena abbiamo visto gli attori cambiarsi d’abito. Ma al fianco dell’evocatore delle forze invisibili ecco affiorare dal buio Calibano: quale la fine del ribelle? Anche per lui è un congedo? O le parole del padrone – “questa creatura delle tenebre la riconosco mia” – preludono al riconoscimento?

Ma non è ancora la fine: Serra la concede ad Ariel, euforica e dibattuta per la sua nuova condizione di libertà. Tocca a lei il compito di un nuovo teatro al di là di illusione e rito? Sembra suggerirlo un bagliore accecante e fulmineo. Ma, poi, ancora buio.



immagine in evidenza: foto di Alessandro Serra da www.piccoloteatro.org